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Show CANTO UNDECIJIO XXVI. XXIX. Intanto eran sei lune omai trascorse D3. Che in Pultava a la difesa intento Scavasi Alardo: ei di 56 stesso in forse Parve dappoi, quando poteva a stento Contro il furor d'un fiero mostro opporse, Ch'ovunque diff‘ondea lutto e spavento; Era l'inopia macera e digiuna, Crudcl ministra dc l'ostil fortuna. XXVII. De la citt'd scorrea Ie vie costei Di fantasma in sembiante orrido e tetro, Infossati avea gli occhi, irti i capei, Scarne lc gote a guisa di scheletro,‘ Spargeva a l'aura clamorosi omei Pane gridando in formidabil metro; Pari ad artigli d'avvoltoi voraci Ai cibi distendea 16 man rapaci. XXVIII. Quinci la rea vedeasi a piet'd sorda Rapire al cittadin lo scarso pane; Immonda lue d'impuro alito figlia, Ch'avria di rei vapor l'aura ripiena,‘ E chiusc a cterno sonno anco le ciglia A 1' armata famelica Rutena; Ch'a una turba d'infernii rassomiglia Al volto smunco, a l'aff‘annaca lena, Ta1 ch'insieme congiunti in quella terra S'avrian tre mostri e pests e fame e gucrra . XXX. 11 prode Alardo che giammai non posa Ad apprestare a tanto mal rimedio, Quantunquc mostri a'suoi faccia giojosa, Onde scemare in lor l'afl‘anno e il tedio; Pur ne l'alma agitata e dolorosa Tutto sente l'orror del lungo asscdio: Ma ad evitarne i1 non lonCano cccidio Pensa d'onde ritrar n'abbia sussidio. XXXI. Infra cento pensier sceglie quest'uno, Cui celeste favors a1 Cor gl'inspira: Ed in ogn'esca, benché sozza e lorda, Sbramare ad or ad or l'avide scane Di quella bocca spavcntosa, ingorda; In carta ci segna come il fier digiuno Poscia fatto satollo il ventrc immane Giacer supina, e da 16 labbra sue Pescifera csalar immonda lue: La polve marz'ial dal sen ritira I rinchiusi guerricr snerva c martira; Indi pria Che l'aér s'ammanti a bruno Di grande ferreo globo, in quel vi loca Lo scritto, e il gran morcajo a un tracco infoca. |